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La morte dell’eroe. Il teatro ebraico da strumento della rinascita nazionale a voce del dissenso

Conference talk
XXXIII Congresso Internazionale dell'Associazione Italiana di Studi sul Giudaismo, Università di Bologna, Dipartimento di Beni Culturali, Ravenna (2nd September 2019)

Tags: Hebrew theatre | Israel studies | Theatre studies

Abstract

La nascita di una cultura teatrale in ebraico alla fine dell’Ottocento e la sua definitiva affermazione nella prima metà del Novecento si intreccia strettamente con la rinascita linguistica e nazionale ebraica. Il sionismo e le aspirazioni nazionali che hanno portato alla fondazione dello Stato di Israele fanno affidamento sulla forza dello spettacolo come mezzo di formazione e strumento di persuasione. Nel 1948, nel pieno della Guerra d’Indipendenza, Camminava per i campi di Moshe Shamir viene portato in giro per il Paese e rappresentato anche negli accampamenti dell’esercito. Uno spettacolo che ha per protagonista l’incarnazione perfetta dell’Ebreo Nuovo – un kibbutznik idealista, intraprendente e pronto al sacrificio – diventa l’arma segreta per tenere alto il morale delle truppe, offrendo un eroe da ammirare e un ruolo da interpretare.
Ma questa stretta connessione fra teatro e impresa sionista, uniti da un legame a doppio senso e da una crescita parallela verso obiettivi condivisi, persisteva da decenni. Quando le prime compagnie amatoriali, in epoca ottomana, riuscivano occasionalmente a mettere in scena uno spettacolo, il loro lavoro veniva salutato dalla stampa come un’impresa meritoria, un contributo fondamentale alla rinascita nazionale. Assistere a rappresentazioni teatrali in ebraico, in quell’epoca, era considerato un dovere nazionale. Negli anni Venti e Trenta il recupero dell’ebraico come lingua parlata è ormai un fatto compiuto, si costituiscono teatri professionali e la drammaturgia locale muove i primi passi. E i primi testi originali, tra rievocazioni del passato storico-biblico e rappresentazioni dell’esperienza contemporanea dei pionieri, si rivelano funzionali alla costruzione dell’identità nazionale. La tendenza prosegue dopo la fondazione dello Stato e nel decennio successivo: i drammi di Shamir, Mossinsohn, Shacham, Meged riflettono il clima di unità nazionale e di compattezza ideologica nella celebrazione dell’eroe contemporaneo e della sua vittoria.
Se negli anni Sessanta, con il superamento della tradizione naturalistica, si sperimentano nuovi stili e temi nel testo e nella regia, il punto di rottura definitivo è la Guerra dei Sei Giorni. Al clima di euforia per la vittoria si oppongono alcune voci di dissenso che mettono in discussione l’ondata di fervore nazionalistico e i valori finora inattaccabili. Proprio dal teatro parte l’attacco più audace. Nel 1968 Hanoch Levin porta in scena Io, tu e la prossima guerra, un cabaret satirico il cui sketch iniziale, “Parata per la vittoria della Guerra degli Undici Minuti”, è una parodia esplicita delle celebrazioni della Guerra dei Sei Giorni. Da questo momento la scena si ribella alle narrazioni tradizionali, rifiuta la figura mitica stereotipata dell’eroe istituzionalizzato e smonta la retorica del sacrificio. Levin e altri, come Kenan, Horowitz, Sobol, incontreranno reazioni scandalizzate e, talvolta, spettacoli ritirati in anticipo. Ma la tendenza è inesorabilmente cambiata.
Il nuovo paradigma gradualmente si estende oltre la narrazione dell’attualità, preparando la scena a più mature riflessioni sul conflitto, sulle questioni di identità o sulla condizione umana in generale, come negli ultimi drammi di Levin. Anche la rappresentazione della Shoah sulla scena supera le narrazioni eroiche in cui era precedentemente costretta. In conclusione, con la morte dell’eroe che aveva dominato la scena durante la costruzione della nazione, si avvia un processo inarrestabile di crescita e maturazione del teatro di Israele.

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